lunedì 25 novembre 2013

Lui e lei: sliding doors

Lei aveva venticinque anni, lui sessantacinque. Avevano poche cose in comune eccetto  l’autobus che tutti i giorni li portava all’università. Lei era studentessa prossima alla tesi della facoltà di chimica, lui professore prossimo alla pensione nella facoltà di fisica. La prima volta si erano seduti accanto per caso, perché non c’erano altri posti liberi, la seconda anche, la terza per caso iniziarono a parlare.

Lei aveva uno zaino pieno di sogni, lui uno zaino pieno di esperienza, entrambi ammiravano dell’altro quel carico prezioso. Di giorno in giorno, capitò spesso di sedersi vicino e di parlare del più e del meno in quel breve tratto del percorso del bus. Erano un anziano e una giovane e si sentivano in qualche modo come nonno e nipote. Erano un ponte tra due generazioni diverse. Erano un ponte che per vari motivi non si era eretto all’interno delle loro famiglie.

Alle otto del mattino su quel bus circolavano sempre le stesse facce, per lo più gente che in qualche modo aveva a che fare con l’università: giovani studenti, professori, ricercatori, inservienti.  In genere gli anziani professori superavano di gran lunga in numero i giovani studenti che preferivano altri mezzi di trasporto come il motorino.

Lei in quel tragitto si affezionò ad altri attempati docenti, e loro a lei. Si era creato senza  volerlo uno strano rapporto di protezione,  per cui il grande membro prende sotto l’ala protettrice il giovane, e cerca di tramandare a questo quello che di più prezioso ha: la conoscenza. In breve tempo lei finì  per diventare la mascotte di quel bus numero 4 di vetusti occupanti.

Alla fine dell’anno accademico, nella sessione di luglio lei si laureò. Sulla sua tesi oltre ai ringraziamento per famiglia, amici e conoscenti scrisse anche due righe per ricordare quel bus 4 e i suoi dotti nonnetti che per un anno le avevano tenuto compagnia con le loro storie di scienza e di altri tempi.

L’anno successivo lei partì in un’altra città in cerca di futuro e con la certezza di lavoro. Ai suoi vecchietti pensò ogni tanto con nostalgia, perse i contatti più mo meno con tutti tranne che con lui, che era stato il primo a rompere quel suo scudo di timidezza.

Un giorno mentre era nel suo nuovo ufficio la cartella dei nuovi messaggi della sua cartella di posta elettronica iniziò a lampeggiare: era lui. Era una mail triste in cui le diceva che stava attraversando un periodo difficile a causa della morte di sua moglie e dell’arrivo della pensione che gli lasciava troppo tempo da trascorrere nella tristezza delle mura domestiche. Era passato più di un anno dai tempi dell’università, e lei completamente assorbita dal nuovo lavoro aveva finito per lasciare affondare nella polvere della memoria quei vecchi ricordi, ritornati melanconici in superficie a seguito della ricezione di quella mail.

Lei rispose dopo un giorno. Gli scrisse cose carine per cercare di tirargli su il morale. Gli scrisse che era una persona in gamba e lo aveva tanto ammirato per quei suoi discorsi posati nel tragitto di quel bus 4 di qualche tempo fa.  Inviò la mail e ritornò alle sue carte, pensando che la cosa non avesse seguito. Seguirono invece altre e-mail il cui tono di lui era sempre più depresso. Il tono di lei divenne quindi sempre più accorato temendo che lui potesse commettere un gesto estremo per porre fine a quella sequela di tristi eventi.

Il week end dei morti lei rientrò nella sua città. Lui le chiese un incontro, perché gli faceva piacere ascoltare una voce amica che aveva avuto orecchie nei suoi momenti difficili. Lei provò una certa soggezione alla richiesta ma poi decise di accettare perché rifiutare le sembrava ingiusto infondo lui le stava chiedendo aiuto. Si diedero appuntamento alla fermata del bus 4, l’unico loro punto in comune.

Lei si meravigliò quando lo vide arrivare in macchina. Si era parlato di una passeggiata a piedi, la macchina non era prevista. Ad ogni modo quando lui le fece cenno di entrare in macchina che avrebbero fatto un giro, lei come un soldatino aprì la portiera e si infilò. In fondo, non era uno sconosciuto, in fondo era una persona di cultura, in fondo era una persona che stava soffrendo la solitudine e chiedeva il suo aiuto.

La macchina si perse tra la sequela di macchine che affluivano sulla via Appia di domenica pomeriggio. Lei guardava dal finestrino i resti delle mura romane che merlettavano il Parco degli Acquedotti , lui guidava sicuro. Dopo qualche chilometro di marcia lui tirò il freno una volta giunti su una stradina periferica che sbucava nelle campagne romane. Lei trasalì.

Finale 1.
Lei chiese come mai lui l’avesse condotta in quel posto desolato, ma lui rimase in silenzio. Poi improvvisamente sentì le sue mani premer forte sul seno. Lei cercò di svincolarsi da quella morsa infernale, ma più lei tentava di sfuggire e più le sue mani le si insinuavano dentro. Quell’uomo che lei aveva creduto debole, ora lo riconobbe nella sua vera natura, quell’uomo era il mostro. Sentiva la sua saliva lungo il collo, il suo ansimare oltraggioso rimbombargli nelle orecchie. Poi  il buio. Quell’uomo, quel vecchio, che poteva esser suo padre, suo zio, suo nonno, abusò di lei. Abusò di lei ripetutamente. Ma il buio inghiottì tutto, i pensieri, la memoria, le speranze. Il buio inghiottì anche la sua anima, ma purtroppo non fu abbastanza forte da prendersi anche il corpo.

Finale 2
Lei chiese come mai lui l’avesse condotta in quel posto desolato, e lui le disse che gli era sembrato un posto tranquillo per parlare. Lei si sentì a disagio. Lui posò una mano su quella di lei, ma lei la ritrasse. Iniziò quindi a parlarle con voce profonda facendole capire che quelle e-mail  avevano fatto nascere in lui un sentimento nuovo. Lui l’aveva sentita vicina, lei aveva saputo toccare con le parole corde inesplorate, sentimenti sopiti, e se ne era innamorato. Lui tentò un nuovo approccio ma nuovamente lei si chiuse a riccio. Lui si indispettì. Lei capì che sicuramente quelle e-mail erano state equivoche, come lo era l’atteggiamento di lui. Lei non corrispondeva e non aveva mai pensato che tra loro potesse esserci altro che un sentimento di reciproco rispetto. Chiese di esser riaccompagnata a casa, lui infastidito riaccese la macchina. Non si videro più e né si scambiarono più e-mail.

Lei ora scrive in un blog ed ha deciso di raccontare questa storia in occasione della Giorno mondiale contro la violenza sulle donne. La sua storia si concluse con il finale 2, ma ora ha capito che il finale 1 è sempre in agguato.

6 commenti:

  1. la prima considerazione che ho fatto leggendo l'inizio del post è stata: cavoli tra 15 anni sarò anziana.
    poi ho letto tutto il post: mai dare dell'anziano ad un 65enne,non dandogli dell'anziano si prendono le dovute distanze,ma a 23- 24 anni può succedere di vedere una persona di 65 anni come un anziano assessuato e questo non giustifica il comportamento del "rispettabile docente"

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  2. Si contestualizza il post a quegli anni... Io all'epoca li vedevo come nonnetti anche se in realtà non lo erano. Ho imparato che non c'è nulla di più relativo dell'età. Da piccola dicevo che io a 18 anni avrei voluto sposarmi e avere figli. In realtà poi ho aspettato di averne il doppio per avere il primo figlio, e ovviamente prima o poi metterò in cantiere il secondo

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  3. Io ho imparato sui 15 anni che gli adorabili vecchini non sono poi tanto adorabili.
    L'astinenza prolungata più la deficienza senile gli fa perdere dignità, alle volte. C'è da fare attenzione quasi più a loro che non ai giovani. Non è tanto il pregiudizio che gli anziani non pensino più a quello, quanto il fatto che essendo un pò fuori di melone spesso si arrischiano anche troppo.
    Fortuna che hai saltato al punto 2, sono felice per te.

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  4. che brutte sensazioni devi aver provato in quel momento e che brutto pensare ancora oggi, a distanza di anni, che la soluzione 1 poteva davvero succedere. l'importante, in queste situazioni, è non colpevolizzarsi credendo di avere in qualche modo istigato quel comportamento..non c'è mai giustificazione a quello schifo!

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  5. sono davvero felice che sia stato il finale 2. E ti abbraccio forte perchè posso solo immaginare la paura.

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  6. che paura, che brutta sensazione. E che coraggio, il tuo! Di raccontare!

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